L’Egitto, secondo il Stockholm International Peace research Institute (SIPRI), è diventato il terzo maggiore importatore di armi al mondo. Il Cairo solo nel 2021 ha speso per la difesa l’1,3% del Pil, con un progressivo aumento nell’anno corrente fino a raggiungere i 5,6 miliardi di dollari. L’istituto di Stoccolma, nel proprio rapporto “Trends in International Arms Transfers”, rende noto che l’Egitto tra il 2011-2015 e il 2016-2020 ha aumentato il volume delle importazioni nel settore militare del 136%, coprendo complessivamente il 5,8% del mercato mondiale.
Negli ultimi dieci anni il Cairo ha speso 44 miliardi di dollari in armi e i principali partner del paese attualmente guidato da Abdel Fattah al-Sisi sono stati: Stati Uniti, Francia, Germania, Italia e Russia. Nel 2021 l’Egitto ha siglato un accordo con Parigi per l’acquisto di 30 caccia Rafale, un contratto del valore di 4,5 miliardi di dollari. Già nel 2015 il Cairo aveva firmato un accordo con la Francia del valore di 5,8 miliardi di dollari per altri 24 caccia Rafale più una fregata e lotti di missili. In tal modo, l’Egitto, ad oggi, possiede la seconda maggiore flotta di caccia Rafale dopo Parigi. Nel 2021 Berlino ha esportato armi per un valore di 10,65 miliardi di dollari, un salto del 61% rispetto al 2020. Di questi, 4,92 miliardi di dollari in sistemi di difesa e per la marina sono stati destinati al Cairo. L’ex protettorato britannico ha firmato con la Germania un contratto da 2,5 miliardi di dollari per quattro navi Meko A200 Corvette con la ThyssenKrupp Marine Systems (TKMS) e 16 sistemi di difesa da DiehlDefence. Il 14 ottobre 2022 è stata consegnata la prima unità marittima per il porto di Alessandria. Questo segue l’ultima consegna dei quattro sottomarini classe 209/1400 prodotti sempre dalla ThyssenKrupp Marine System (TKMS). Anche con Roma il Cairo ha un giro di affari che si aggira tra i 10 e 12 miliardi di dollari. L’ultimo accordo tra i due paesi prevede l’acquisto da parte egiziana di 6 fregate FREMM, 24 jet M-346 da addestramento, 24 Eurofighter Typhoon, 20 Falaj II OPV e un satellite militare. Le commesse non hanno riguardato solo paesi dell’Europa occidentale, ma hanno incluso anche la Russia. Dal golpe del 2013 da parte dei militari guidati da al-Sisi, il Cairo ha avuto rapporti privilegiati con Mosca. Il presidente egiziano si è recato più volte a Mosca, cosciente dell’importanza strategica di tale relazione per entrambi le parti. Tra il 2014 e il 2018 l’Egitto ha acquistato dalla Russia caccia MiG-29M2, 52 elicotteri e missili Antey-2500 per un valore di 3,5 miliardi di dollari, altri 31 caccia Su-35 per un valore di 2 miliardi di dollari. Tra il 2016 e il 2020 la percentuale delle importazioni egiziane dalla Russia è aumentata del 420% rispetto ai quatto anni precedenti, come riportato da “Trends in International Arms Transfers”.
Tuttavia, il maggiore partner strategico e militare per il Cairo rimane Washington. Il paese nordafricano è il secondo maggiore beneficiario di aiuti statunitensi dopo Israele. l’Egitto ha beneficiato di 51 miliardi di dollari in aiuti militari dalla pace del 1979 con Israele. Complessivamente sono 85 i miliardi di dollari elargiti dagli Stati Uniti dal 1946. Il Cairo riceve infatti ogni anno 1,3 miliardi di dollari in aiuti militari da Washington: il Congresso americano per l’anno prossimo ha sbloccato altri 300 milioni di dollari vincolandoli al rispetto dei diritti umani. Le altre tranche sono vincolate a fini di antiterrorismo e sicurezza delle frontiere. Il 25 gennaio 2022 Washington ha approvato la vendita di armi per 2,5 miliardi di dollari. Questo lotto comprende velivoli militari e sistemi vari di difesa aerea. Inoltre, nel 2020 l’amministrazione Trump ha notificato al Congresso la possibilità di una vendita di attrezzature per 2,3 miliardi di dollari per il rinnovamento di 42 elicotteri d’attacco AH-64E Apache. Secondo il Congressional research Service, tra il 2010 e il 2014 il 47% delle acquisizioni egiziane proviene dagli Stati Uniti, mentre tra il 2015 e il 2019 questa percentuale scende al 15%.
La dimensione quantitativa e qualitativa degli armamenti detenuta dal Cairo non ha avuto tuttavia un riscontro sulle capacità operative delle proprie forze armate. Dopo la pace con Tel Aviv nel 1979, sotto le presidenze di Muḥammad Anwar al-Sādāt (1970-1981) e Muhammad Hosni Sayyid Ibrahim Mubārak (1981-2011), le priorità sono rimaste le medesime. Le forze armate egiziane hanno mantenuto lo stesso impianto, una preparazione funzionale alla guerra convenzionale con un numero di soldati, tra i più numerosi della regione, e mezzi corazzati proporzionali. Mancava ancora il salto di qualità richiesto per raggiungere standard più moderni, quindi con reparti professionalizzati, flessibili ed immediatamente operativi. Le ragioni di questo decennale immobilismo sono riconducibili almeno a due fattori: il timore dei presidenti in carica di ambizioni politiche da parte degli ufficiali e la mancata percezione di pericoli interni ed esterni che necessitassero di un riordino della difesa. Con la primavera araba del 2011 è cambiato radicalmente lo scenario. La caduta del regime e l’instabilità interna, dettata dalle continue mobilitazioni popolari, hanno reso evidente l’inadeguatezza delle forze armate e degli apparati di sicurezza del paese. Con il ritorno dei militari nel 2013, i militari e il nuovo rais hanno fatto tesoro della dura lezione ricevuta. Nei primi anni della presidenza di al-Sisi le EAF hanno dovuto fronteggiare le sfide interne come la minaccia di matrice islamista presente nella penisola del Sinai e gli attacchi terroristici subiti all’interno delle città più importanti del paese. L’accelerazione impressa dal rais è stata sostenuta anche dagli Stati Uniti, che da anni spingevano verso questa direzione. Difatti, come già detto, il supporto americano alle forze armate egiziane è stato negli anni importante. Dal 1982 al 2015 il paese ha ordinato 240 caccia F-16 per una spesa complessiva di 1,7 miliardi di dollari, assemblato sul proprio territorio, più 1200 carri armati Abrams M1A1 così da diventare il paese nella regione con il maggior numero di mezzi, oltre 4300. Il limite in questi decenni è stato invece l’addestramento e l’uso di questi armamenti, addirittura in alcuni casi le commesse prodotte nel paese non sono arrivati alle unità sul campo. Ad esempio, le Fregate Knox e Perry hanno passato più tempo attraccate nel porto di Alessandria che ad eseguire sessioni di addestramento.
L’ammodernamento continuo dei sistemi d’arma dell’esercito egiziano non è il solo obiettivo dichiarato di al-Sisi. La professionalizzazione di reparti destinati a compiti precisi, l’addestramento per combattere il pericolo interno incarnato dai movimenti islamisti nel Sinai, lo sviluppo di una marina militare che oggi è presente con 8 fregate, 4 sottomarini e unità di supporto che possa competere con l’emergere degli altri attori regionali, come l’Algeria e il Marocco, sono la sfida che dovrà compiere il paese.
Questa riorganizzazione delle forze armate è stata possibile in questi termini grazie alla consapevolezza del presidente dei delicati ingranaggi nel settore della difesa e della sicurezza. Difatti al-Sisi nella sua lunga carriera militare ha ricoperto diversi ruoli all’interno di importanti aree del settore militare, come: nel Servizio di informazione generale; nel comando operativo della Prima, Seconda e Terza Armata; e, infine, è stato il capo di stato maggiore e il capo della guardia repubblicana del presidente. La nomina di figure vicine e di fiducia nelle posizioni decisionali, assieme all’allentamento del legame tra i poteri economici e militari, sono stati i punti chiavi per poter raggiungere il fine di un ammodernamento delle forze armate.
Il Cairo nella sua storia ha saputo giocare con astuzia durante lo scontro tra i due blocchi mondiali per trarne vantaggio per i propri interessi nazionali. In un contesto per certi aspetti similare, dopo l’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, gli schieramenti si sono nuovamente polarizzati. L’Egitto per il fronte occidentale, in particolar modo per gli Stati Uniti, rimane un partner fondamentale nella regione dopo Israele. Il Cairo è un paese indispensabile per la stabilità del Mediterraneo e del Medio Oriente.
Con Mosca le relazioni sono invece diventate più strette dopo la firma nel 2018 del partnership agreement e il rafforzamento della cooperazione nei settori militari e di sicurezza, così come negli scambi economici. Certamente il vincolo dei diritti umani per finanziamenti militari con la Federazione russa, rispetto alle relazioni con il partner americano, non sussiste.
Al contempo, le forze armate sono uno strumento importante per la politica estera. Difatti l’Egitto con questa nuova postura intende giocare un ruolo da protagonista nella regione. Da un lato, i forti investimenti nella marina militare per migliorare le capacità di pattugliamento sono una risposta all’attivismo turco nel Mediterraneo orientale. Dall’altro, la scoperta di importanti giacimenti di gas di fronte alle proprie coste impegna la marina in attività continue al fine di garantire la sicurezza nelle fasi di estrazione e trasporto delle risorse. Per l’EAF, i problemi di sicurezza, oltre che riguardare la lotta al radicalismo interno, riguardano anche i propri confini. La situazione in Libia comporta per il Cairo un’attenzione particolare, là dove una soluzione alla crisi del paese limitrofo sembra essere ancora lontana. L’instabilità della regione nordafricana dopo il terremoto politico delle Primavere arabe del 2011 ha aperto spazi nuovi per attori statali che in precedenza non erano presenti in questa fetta di territorio. Le monarchie del Golfo hanno fatto sentire la loro presenza negli ultimi anni soprattutto in Libia. Difatti il Qatar ha esteso la propria influenza sostenendo i gruppi più vicini alla Fratellanza musulmana, mentre Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti hanno sostenuto regimi come quello appunto di Albdel Fattah al-Sisi. La competizione dei paesi del Golfo, la proiezione della nuova strategia turca assieme all’emergere di nuovi attori nel Mediterraneo, come Marocco ed Algeria, pongono l’Egitto difronte ad una realtà notevolmente mutata. In definitiva, l’Egitto odierno ha grandi ambizioni di diventare un attore fondamentale per le politiche mediorientali e mediterranee, ambizioni dettate dalla determinazione del proprio presidente che, partendo dalla riforma delle forze armate, ha lo scopo di dare un nuovo slancio al paese.
Mohamed El-Khaddar